sfogo notturno
Non capisco tante cose. Non capisco perché non mi diverto più. Se sono io che sono andato, o se sono gli altri che non ce la fanno ad accettare la realtà. Se sono io che "per le mie navi son quasi chiusi i porti" o sono gli altri che hanno bisogno di vivere in un mondo di sogni, di pensare che la felicità sia altrove. Ma dove? Di che cosa è fatta? Cosa cercano davvero? Io sono qui, senza orto, ma in fondo a vangare sempre la stessa zolla di terra e penso che se non sono buono a far germogliare nulla da quella, allora è inutile che cambi terreno. Sono un lavoratore, non nel senso classico del termine: uno che insiste, uno che cerca di trovare il modo, che si adopra con le unghie e il fil di ferro. Mi annoiano certe passeggiate sulle nuvole, perché non ci credo, lo che sono miraggi. lo so e casco di sotto, io. Se qualcuno riesce a galleggiare, buon per lui. "Voi andate, io zappo" disse una volta il mio bisnonno Gianni. Se vado via è per tornare, per rivedere meglio quella zolla e lavorarla meglio, con lo sguardo più pulito e magari qualche ferro in più. Scusate, stasera l'avevo così.
vostro t
1 commento:
condivido, mi sento molto parte di quello che hai scritto.
"per le mie navi son quasi chiusi i porti" poi è una specie di preghiera per me.
ho toccato con mano la mia disperazione, ho vissuto le mie paranoie, riconoscendole come tali, ma non potendo sottrarmi loro.
è come se la propria liberazione passasse attraverso la propria distruzione. nella mia mente certe volte è così. a volte c'è bisogno di un fondo da toccare. poi sono i soliti abissi, ma ogni volta è come se fosse una nuova volta.
e sono abissi di disperazione, di follia, che non si riesce neppure a comunicare.
la liberazione arriva - quando arriva - quando riesci a piangere o a ridere di questo.
allora io ieri ho riso.
è tutto autunno-inverno-primavera-estate. velocissima sequenza.
grazie per avermi dato lo spunto. per esserci. per essere un gran lavoratore. una persona che io sento una persona vera.
f
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