Foco
Buongiorno, cercavo il signor Enio Sardelli.
Buongiorno, rispose la signora. Enio, c'è quel signore che ha chiamato ieri.
Fallo entrare, devo finire un attimo di scrivere questa lettera, se ha la pazienza di aspettare...
Enio è seduto dietro la scivania in fondo alla stanza, la faccia attaccata allo schermo, gli indici schiacciano uno alla volta i tasti della tastiera. E' magro, ha i capelli completamente bianchi lisciati all'indietro, sorride tra le rughe: piacere, Foco. Così si presenta.
Ci eravamo sentiti per telefono il giorno prima, gli avevo chiesto se poteva darmi delle indicazioni a proposito dei luoghi partigiani sul monte Giovi. Già per telefono mi aveva colpito la sua disponibilità e la voglia di raccontare. Dopo qualche tentativo mi disse che era meglio se fossi passato in sezione (ed eccomi lì), che poteva darmi del materiale. Mi disse che era compiaciuto del mio interesse, quasi mi ringraziò per aver chiamato. Si figuri, sono io che la ringrazio e che ringrazio tutti quelli come lei che hanno fatto scelte coraggiose e che hanno combattuto per la nostra libertà. La sua risposta mi spiazzò: non deve ringraziarmi, facemmo la scelta che avrebbe fatto anche lei se avesse avuto diciotto anni in quei giorni.
(invece non era una scelta per niente scontata e si rischiava tanto, pensai).
Se puoi aspettare un po', mi chiese, chiuderei questo comunicato così poi ci dedichiamo alle mappe e al resto.
Vidi che sullo schermo aveva i caratteri giganti e nonostante questo doveva stare appiccicato per vedere quello che scriveva.
Arrivò anche un altro compagno, dall'aspetto meno acciaccato del suo.
Ah, c'è un altro compagno, ti presento Freccia.
Mi chiesero se fossi interessato a mettere per iscritto i loro racconti, ma mi parve un compito sopra le mie capacità e soprattutto fuori dai miei progetti di allora.
Mi raccontarono di quei mesi sul monte Giovi, di come per campare andavano a prendere il bestiame dai contadini della zona, lasciando in cambio dei buoni in cui promettevano che avrebbero restituito tutto a guerra terminata (e così fu, disse). Tra loro ognuno conosceva un mestiere e c'era anche un macellaio e se la cavavano così.
Chiesi loro il perché dei nomi di battaglia e mi spiegarono che tra loro si conoscevano solo con quelli, così che se uno fosse stato catturato non avrebbe potuto fare la spia sugli altri neanche sotto tortura evitando le rappresaglie sulle famiglie di provenienza.
Alla fine dei racconti (Freccia se n'era già andato) mi chiese se gentilmente avessi potuto riaccompagnarlo a casa, poco distante da lì, che ci vedeva poco e aveva bisogno del braccetto. Mi disse che la vista l'aveva persa in seguito alle botte sulla testa ricevute dai fascisti, che aveva sempre letto fin da bambino e che ora che non poteva più si prendeva le cassette del libro parlato all'istituto per ciechi e le ascoltava la notte quando rimaneva insonne. Alle 6 e mezza si alzava per andare in sezione, che c'era tanto da fare e ormai erano rimasti in pochi.
Non l'ho più incontrato di persona, mi è capitato un paio di volte di sentirlo parlare a dei comizi o alla radio.
E di tutto, oltre le parole, quello che ogni volta mi colpiva era la fierezza, l'altezza del suo ideale, il non risparmiarsi mai e in nessun modo per quello in cui credeva.
T.
2 commenti:
ho sentito che questa storia era anche per me.
...sono io che ringrazio te, T.
grazie davvero.
un abbraccione.
f
...e andiamoci sul monte giovi una volta, posti magici quelli, ci sarebbe stato anche don milani di lì a poco, non è così?
mi sono commossa...l'anno scorso, in un supermercato, un vecchio mi ha ringraziato appassionatamente solo perchè gli avevo trovato un insetticida. ha paragonato il mio aiuto a quello ricevuto da una famiglia di partigiani che gli salvò la vita. trovai il paragone un po' esagerato. ma forse chi ha fatto la guerra, ha bisogno di raccontare in un qualche modo la sua sopravvivenza. A
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